TEMA: IL MIO GIARDINO
Svolgimento di Germana Nigrelli
Mia madre mi ha insegnato a tenermi il bordo della manica nel pugno prima di infilarmi il cappotto; mio padre mi ha e-ducato, ha tirato fuori la mia passione per le piante. Lo vedevo a torso nudo, d’estate, con in mano il lungo manico di qualche attrezzo, lavorare la stretta striscia di terra, tre metri al massimo, che circondava da due lati il muro di casa, da cui tirava fuori rose, ortensie, gladioli, garofani, e d’inverno in casa circolavano i cataloghi di Sgaravatti e Ingegnoli che illustravano un tripudio di questi fiori dotati di nome e cognome, spesso in lingue a me sconosciute, almeno fino alle medie. Dopo, l’obbligo di imparare il latino mi ha reso tutto più facile: la lingua dei giardinieri per eccellenza! Lo sfogliare questi cataloghi mi ha aperto un mondo: esistevano molte più varietà di quelle che il nostro giardino avrebbe potuto ospitare, chissà, un giorno, in un giardino mio…quando fossi stata grande. E intanto per corrispondenza mi ero fatta mandare a casa, da Ingegnoli di Milano, la rosa Soraya, da regalare a mio padre per Natale. Questo l’antefatto giardinesco; in più c’era l’amore per i fiori di campagna, le viole raccolte per la maestra (mia mamma non amava i fiori), le corolle sconosciute lungo il ciglio delle stradine bianche: durante una passeggiata con un’amichetta mi sono infilata lo stelo di un’euphorbia in un orecchio, asserendo che il lattice faceva bene: in realtà mi ha provocato un’infiammazione che il medico ha dovuto curare, ma il mio amore per le euphorbie era già nato. Adesso, che da più di trent’anni coltivo attivamente il mio giardino, mi sono ritrovata a rivivere quei momenti infantili quando, ad esempio, ho avuto tra le mani il catalogo di Pier Luigi Priola, costituito da elenchi sterminati di varietà per ciascuna specie di piante, o quando camminando sui colli Euganei scoprivo, in primavera, anemoni, tulipani, pulmonarie, agli ursini e questo generava in me un entusiasmo indicibile. Ed eccomi al mio giardino che, presentato nel suo contesto, è tutto fuorché dotato di fascino: contesto suburbano, parcella di terra rettangolare pianeggiante, la casa costruita nel mezzo, cinque metri tutto intorno, tranne che da un lato occupato dal passaggio per il garage che, stolidamente, è stato progettato proprio in fondo alla costruzione. Non certo la situazione ideale per chi, come me, ha maturato riferimenti blasonati, giardini d’oltralpe, avete presente il bordo del castello di Enrico VIII, giusto fuori Londra? Ma la passione è passione, per fortuna, e uno finisce per fare con quello che ha a disposizione: à la guerre comme à la guerre! La terra è terra, i fiori sono fiori, il cielo è azzurro anche qui e le farfalle ci volano, quindi all’opera. Ma bisogna dribblare lo squallore del terreno lungo e stretto sui lati della casa, creare l’illusione del movimento, di una sequenza di ambienti diversi tra loro, e così è nata l’idea, non certo originale ma poco vista in giro, in Italia, delle stanze, vale a dire di piccoli spazi in cui l’altezza della vegetazione e la netta separazione tra prato e parte coltivata diano il senso di trovarsi in luoghi diversi, con atmosfere distinte. Abito vicino al Po e alla campagna, quindi non è stato difficile raccogliere, nel tempo, una consistente quantità di grossi sassi alluvionali e tondeggianti, da interrare a separazione e definizione dei bordi fioriti, in modo da passarci sopra con la tosaerba senza lasciare quindi “baffetti” verdi e creando una sequenza di semicerchi a ridosso della recinzione di muro e rete metallica, mentre più vicino alla casa c’è l’erba su cui si cammina. E si osserva l’insieme. Nei semicerchi sono coltivati alberi di non grande taglia, arbusti da fiore e soprattutto piante perenni e graminacee. Uno fa il giro intorno alla casa camminando sull’erba e, attraverso opportuni restringimenti valorizzati dagli alberelli, passa da una stanza all’altra, dove cambiano le piante coltivate, sia per ragioni di esposizione che per creare varietà e sorpresa in chi osserva. Ad arricchire il tutto piccoli sentieri tortuosi creati con sassi non molto grandi ma chiari si insinuano e invitano ad inoltrarsi, come se in fondo ci fosse chissà cosa…piccole illusioni ottiche che spezzano ulteriormente la monotonia e danno il senso di distanza ben maggiore da quella effettiva. Per ottenere un vero giardino, qui, la progettazione era indispensabile e anche ora non vedo altre soluzioni valide ed economiche. La cosa più avventurosa, più eccitante, però, è stato scegliere gli arbusti e le perenni da fiore; gli alberelli c’erano già, noccioli e tassi fastigiati, andavano solo inglobati nel progetto, per il resto lo spazio vuoto è stato un richiamo irresistibile, e con libri di giardinaggio eccellenti, quali quelli di Ippolito Pizzetti prima e di Piet Oudolf e Olivier Philippi poi ho trascorso inverni bellissimi a meditare, confrontare, accostare, disegnare e infine scegliere e ordinare sul catalogo del magico vivaista di Treviso, che Dio l’abbia in gloria per tutta la bellezza che ha sparso per l’Italia! Perché, diciamocelo, se mi fossi dovuta accontentare, oltre che di uno spazio banale, anche di quello che offrono tuttora i vivai del circondario, stavo fresca! Gerani-begonie-petunie anche no! Memore dell’esempio paterno DOVEVO guardare un po’ più in là. Una possibilità di scelta sterminata è stata la sensazione che ho avuto all’inizio, poi però ho prontamente individuato i limiti costituiti dal tipo di terreno con ph 8 e dall’esposizione. Il catalogo in oggetto è stato di grande aiuto anche per questo, per ogni tipo di pianta vengono date diverse indicazioni tecniche e non riguardanti altezza, esposizione e via dicendo. All’inizio il mio modello è stato il mixed-border, e poi le graminacee non le conoscevo ancora, quindi oltre all’esposizione tenevo conto dell’altezza e dell’ingombro: era tutto un misurare col metro da falegname e piantare bastoncini in corrispondenza del punto in cui avrei messo a dimora le piante. Ma negli anni ho visto così tanti mixed-borders, in Inghilterra e nel Nord della Francia, che me ne sono un po’ stancata, e poi la scoperta delle graminacee e del giardino di impronta naturalistica hanno cambiato un po’ la mia visione: gradualmente sono passata da una composizione molto studiata a un’altra più libera, dai gruppi di piante dello stesso tipo e colore accostati ad altri a contrasto o in nuance a una mescolanza di piante diverse, per forma e altezza, non più schierate come per una foto di gruppo, ma vagabonde a cui lascio maggiore arbitrio: qua uno o due verbaschi in mezzo a un a distesa di Orlaya, Speronelle blu e Allium atropurpureum tra cui, in piena estate fioriranno le margheritine di Kalimeris incisa e i globi metallici di Echinops, ciuffi di Stipa e di Pennisetum che vivacizzano il tutto con il loro movimento carezzevole ad ogni soffio d’aria; là sotto i noccioli e gli arbusti fitti tappetini di Epimedium o di Liriope inframmezzati da Geranium o Euphorbie. E poi c’è il Dry garden, il mio orgoglio, la mia passione. Siccome negli anni ‘70, quando la casa è stata costruita, andava di moda un terrapieno, sul davanti, che colmava il dislivello, di 80 centimetri o più, tra il piano dell’abitazione e quello di campagna, il mio, essendo esposto a SO e creato con camionate di pessima terra di riporto, soffre di mancanza d’acqua e di calore torrido in piena estate. Dopo ripetuti tentativi tutti fallimentari è arrivato finalmente Olivier Philippi col suo libro “Jardin sans arrosage” e con esso la soluzione del problema: Cisti, Rosmarini, Elicrisi, Perowskye, Limonium, una scelta sbalorditiva per spazi aridi esposti e in pendenza. Adesso ho un dry garden di tutto rispetto, bello per le forme ancor prima che per i fiori, decorativo tutto l’anno perché sempreverde, con manutenzione prossima allo zero! E infine due anni fa ho avuto la fortuna di visitare il giardino, a S di Marsiglia, di Olivier Philippi, che ci ha fatto anche da guida, ed è stato un vero e proprio “coup de foudre” per la genialità di questo giardiniere-vivaista e per il suo magnifico giardino mediterraneo: appena a casa ho prontamente riconvertito uno spazio in cui coltivavo i pomodori in un’aiuola “plein Sud” con tutti quei magnifici cuscini di vegetazione mediterranea visti da Philippi! Il bello del giardino è anche questo, che con modica spesa e relativamente poco lavoro, puoi attuare sorprendenti modificazioni “on the road” dove the road è la vita stessa….