RACCONTO di PAOLA RONCARATI

Meditazioni in un giardino multietnico

di Paola Roncarati

 

Fine estate 2020, le peonie arbustive stanno appassendo: folti cespugli a mezzaluna, scomposti per gli steli flessibili, pendono sul marciapiede in cotto di un’ex casa colonica, bassa, a due piani, di un’Emilia tipicamente padana. «Dobbiamo trapiantarle in un’area più vasta, per una forma più ordinata; sei d’accordo?» mormora Anja quasi a sé stessa, lo sguardo pensieroso su quell’ammasso di steli bronzati. Il suo legame con la vegetazione è viscerale; sono flebili le mie repliche ragionate, cedo e cerco un luogo non troppo assolato, dove i colori si armonizzino. Nei giardini inglesi si pone attenzione agli abbinamenti tra colori e piante amiche, masse armoniose di vite che si accettino. Vita Sackville-West ci ha insegnato … ricorro a una timida cultura giardinesca per rafforzare la mia cautela. Perché? -obietta Anja- son tutte piante! Masse? vuoi dire disordine? Anja  –ribatto- in origine la natura era massa colorata. Nel giardino inglese, si ‘finge‘ di ricreare quella natura spontanea, ma … in modo controllato. Quasi un effetto di democrazia liberal … non anarchia, ma nemmeno rigore”. Ricorro a letture e idee che esibisco durante le varie aperture al pubblico del mio giardino privato. Anja trasale. Giardini anarchici?? Discorsi da perdigiorno!  China la sua testa bionda, mani e braccia lavorano senza posa. Alle sue spalle io insisto (tra noi la parola è l’unica arma che combatte le differenze). Anja tu preferisci mettere le piante di fiori in fila indiana –le dico-quella era una tecnica bellica, un‘mettere in riga’… non vi leggi quasi politiche aggressive? Di certo pensa che sto troppo sui libri.

A lei piace disciplinare le piante, sorvegliarne la crescita, sollecitarne il vigore, punire licenze sfrenate, correggere devianze, condannare le essenze malate. I suoi lavori sono ‘ben fatti’, la sua mano interviene con decisione, insegue suoi schemi rigorosi che dal suo mondo eurasiatico trasfonde a questo giardino d’occidente. Quando in un giorno di dicembre da un Paese lontano è arrivata, Anja ha scoperto la primavera italiana in questo giardino, di mia madre; l’esplosione di viole, tulipani, iris, gigli, anemoni, rose variegate parlò al suo cuore ricco solo di ricordi sradicati. Ora che mia madre ci ha abbandonate, quello spazio amorevolmente curato è diventato il ‘nostro’ giardino. Fotografa frutti e fioriture e invia le immagini in tempo reale ai parenti lontani, con cui instaura complicate discussioni telefoniche sulla tessitura di steli e movimenti. I confini, svaniti! Le decisioni ‘allargate’ in campo botanico mi danno il segno di come potrebbe essere l’Europa politica, se completasse davvero il suo sogno di ‘forza gentile’…

Il mio amore per la natura non è rigido, ci impegniamo alla ricerca di un amalgama tra il suo rigore e le spettinate geometrie dei miei suggerimenti, che risentono anche degli anni della contestazione, della libertà dei figli dei fiori, del rispetto di ogni forma di vita, dell’ammirazione indistinta per tutte le erbe. Tra erbe e fiori io sono disposta a sedermi per leggere, parlare con amici, osservare le formiche e il cielo.

In autunno, ogni angolo del giardino, dopo un’estate di implacabile caldo, accampa sue necessità, grida aiuto. Anche quello umano, quest’anno, è un lungo grido d’aiuto, contro le paure dell’incerto e una fiducia nella sopravvivenza che non vuol crollare.

Il giardino è natura ricreata, è nostalgia edenica, ma anche appropriazione egoistica. Occorre prendere tempo, fermarsi a riflettere, il giardino è anche un pezzo di terra, un piccolo lembo di un piccolo globo, dominato dai tempi delle stagioni, una ‘aiuola che ci fa tanto feroci’ (Dante). Una primavera pandemica ha sospeso le nostre vite, ha sospeso tutto: la natura, pur inascoltata, ha fatto da sé e ci ha teso la mano, ha mantenuto in vita le ambizioni umane, a un patto … tutte le piante si presentano con nomi e cognomi (Linneo ha creato un’anagrafe botanica) e diritti (ne è convinto il neurobiologo Mancuso); chiamiamole per nome e pazientiamo, se non abbiamo risposta. In giardino s’intuiscono origine e limiti della democrazia. È un rapporto tra conviventi. Talvolta forzato. E non sempre c’è dialogo, come tra gli esseri umani.

Le piante godono a vivermi addosso con rami disordinati e cespuglietti spontanei che s’approssimano alla porta di casa… Anja sorride, sa che fare con loro. Un antico rapporto -mi dice- lega noi dell’Europa orientale alla terra; nemmeno l’accumulo di neve, foglie, rami spezzati, mucchi di sfalcio ci spaventa. Per noi il giardino è terra da lavorare a mani nude, per avere fiori, frutti, cibo sano”. La mia sofferta filosofia, di fronte alla sua essenzialità, diventa pensiero last minute…Il giardino esige il rispetto delle ambizioni di chi l’ha creato nel passato, dei bisogni di oggi e di chi lo calpesterà in futuro. E delle speranze di Anja, che lo cura. Dalle sue terre lontane giungono nuove essenze, com’è tradizione per le piante che anche da sole, emigrano, cambiano climi, varcano monti, mari, oceani. Le folte peonie del suo orto moldavo ora splendono qui, di colori che ama e riconosce. L’autunno scorso ha portato in aereo i bulbi dei suoi narcisi, ora disposti…in ordine disordinato. In primavera fioriscono generosamente: sì, amano l’Italia, le loro corolle si guardano intorno offrendo alle altre piante una generosa amicizia. Poi da quel lontano giardino ex socialista sono giunti gli amatissimi phlox, che vegetano ovunque, insieme ad esuberanti e variegate asteracee.

Il ‘nostro’ giardino è ora uno spazio ricco di linguaggi, di ricordi, di storie, un mondo che non cerca la perfezione, ma il rispetto. La perfezione insinua serpenti tentatori tra i rami; qui non ci sono rettili, regnano donne che assaggiano liberamente tutti i frutti, frutti sani, nessuno escluso … e vogliono sorridere al futuro.

Garden Club Ferrara