Il testo dell’introduzione della nostra presidente, Paola Roncarati, alla conferenza del professor Castaldelli. Evento organizzato dal Garden Club Ferrara sul tema della biodiversità delle zone umide.
Il Garden Club di Ferrara ha celebrato la ‘Giornata mondiale delle zone umide’ (World Wetlands Day) che cade il 2 febbraio di ogni anno (eccezionalmente spostata al 4 marzo, per le misure sanitarie restrittive in vigore), ricordando la Convenzione di Ramsar (Iran) del 1971 (di cui recentemente è ricorso il cinquantenario), stipulata per tutelare le Zone umide del Pianeta e riconoscere l’interdipendenza tra l’uomo e taluni ambienti antropizzati: quelli acquatici speciali. Il Delta del Po è stato inserito dal 1999 nella lista del Patrimonio Unesco e, nel 2015, nella rete mondiale delle Riserve di Biosfera, il cui fine è promuovere studi scientifici per la conservazione della vitale Biodiversità della fauna e della flora. Per la stretta connessione esistente tra attività produttive, regolazione del regime delle acque e preservazione di habitat ove coesistano esseri umani, flora e fauna particolari, l’uomo si trova di fronte ad una quadratura del cerchio: deve saper governare i territori verso una possibilità di progresso che non si riduca a mero sviluppo quantitativo, ma evolva verso un serio sviluppo qualitativo. Con coraggio e cultura, rispetto del pianeta e delle future generazioni, il cui diritto ad un’esistenza dignitosa non è sempre presente nelle menti dei potenti della terra.
A parlare della fragilità delle zone umide, è stato da noi invitato il prof. Giuseppe Castaldelli, docente del Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Prevenzione dell’Ateneo di Ferrara, che ci ha intrattenuti sul tema ‘Biodiversità e sostenibilità ambientale nelle zone umide ferraresi’ in un evento aperto alla città. La relazione si è tenuta nel salone delle Carte geografiche del Museo Archeologico Nazionale di Ferrara, sulle cui pareti furono dipinte nel 1935 -su disposizione del primo direttore del Museo- carte geografiche tratte da atlanti di varie epoche, dal XVI secolo al XIX, relative al territorio del Delta del Po, ove fiorì l’antica civiltà di Spina (di cui quest’anno ricorre il centenario dell’avvio degli scavi). Tali carte, testimoniando la tormentata evoluzione del Delta padano, hanno fatto da preziosa cornice iconografica all’evento. Il quale si è incentrato sulla Natura come luogo di apprendimento, nella convinzione che ‘se non si conosce, non si protegge’, anche in relazione ad uno sviluppo turistico che non pratichi la consumistica ‘gita in valle’, ma applichi il senso della ‘viandanza acquatica’, nel rispetto di tutte le vite -visibili o meno- che fioriscono in luoghi da proteggere con cura e sensibilità. Il Garden Club spera di poter pubblicare-in breve tempo- la sintesi della relazione del prof. Castaldelli, un report di grande interesse per la sua novità, frutto dei più recenti studi in merito che, ritenuti particolarmente meritori, hanno fruito di finanziamenti europei. La dott.ssa Paola Desantis, già apprezzata direttrice del Museo Archeologico, ha concluso l’interessante pomeriggio presentando l’immagine di reperti archeologici risalenti alla civiltà spinetica, che mettono in evidenza tracce del consumo di alcuni pesci (tra essi in bella evidenza uno storione) la cui sagoma appare graffita su stoviglie emerse dai corredi di migliaia di tombe, tra le nostre sorprendenti valli di Comacchio.
Ludovico Ariosto, nell’ottava 41 del 3° canto dell’Orlando Furioso, scrive i seguenti versi, riferendosi all’area comacchiese e alle sue genti, che ambivano ad avere il vicino mare in tempesta, per fruire di un’abbondanza di pescato:
… la città ch’in mezzo alle piscose/ paludi, del Po teme ambe le foci,/dove abitano le genti disïose/che ‘l mare si turbi e sieno i venti/ atroci.
Paola Roncarati